Giugno 2015 - Anno 43, n.6
Editoriale
L'innovazione organizzativa strada maestra per la competitività
Con l’avvio della nuova Pac dovremmo tornare a parlare della vera sfida per l’agroalimentare, regionale e nazionale: la competitività. La nuova Politica agricola comune, infatti, sarà sempre più solo una specie di rete di sicurezza, come è giusto che sia, e non una fonte primaria di reddito. Il reddito degli agricoltori dovrà provenire dal mercato. Perché ciò avvenga è necessario che l’agricoltura e le intere filiere agroalimentari facciano finalmente un salto verso un sistema ben coordinato.
È vero che l’agroalimentare dell’Emilia-Romagna è uno dei sistemi più organizzati del nostro Paese, ma è altrettanto vero che il gap che ancora resta da colmare rispetto ai paesi e alle regioni nostre concorrenti è ancora ampio. Solo alcune riflessioni su un tema molto complesso.
È necessario riconoscere che la competitività nell’agroalimentare non può essere conseguita se ci si ferma ad una sola delle fasi della filiera. Un’impresa agricola efficiente, da sola non va molto lontano. E nemmeno un’impresa dell’industria alimentare. E non basta guardare alla sola efficienza produttiva. Che dire della qualità? Come si può assicurare la qualità del prodotto finale senza avere strumenti adeguati per dare una giusta rilevanza (e remunerazione) alla qualità della materia prima agricola? Ma ancora di più: perché una filiera possa diventare (o restare) competitiva, c’è bisogno anche di forme contrattuali finalmente moderne e adeguate, meccanismi di programmazione produttiva, analisi delle opportunità e delle sfide che si sviluppano sui mercati. C’è bisogno anche di forme moderne e nuove di governance.
Non ultimo, una filiera organizzata è anche il passaggio indispensabile per aumentare l’efficacia della ricerca applicata. È necessario, infatti, che siano le filiere organizzate, finalmente consapevoli dei propri bisogni e artefici delle proprie strategie competitive, a decidere, dopo analisi di mercato adeguate, come muoversi su questo piano per recuperare o rafforzare la propria competitività, mettendo in stretta relazione l’offerta di ricerca (i ricercatori) con la domanda.
Per questo occorre, anche in questa regione, rafforzare ulteriormente, e con convinzione, il ruolo delle forme organizzate: dalle organizzazioni di produttori (incluse le associazioni di Op) alle organizzazioni interprofessionali, senza dimenticare la cooperazione e i consorzi, momenti organizzativi che pure dovranno riscoprire, forse, ruoli vecchi e nuovi.
Tuttavia, proprio le “vecchie” esperienze di Op, spesso studiate con superficialità, hanno portato molti a sostenere che questi strumenti in realtà siano poco efficaci e non possano contribuire molto al recupero di competitività e di redditività della fase agricola della filiera.
In queste “analisi” ci si dimentica che gli strumenti normativi del passato spesso erano inadeguati a creare le condizioni minime necessarie per far sì che le Op e l’interprofessione potessero essere veramente efficaci.
Con l’eccezione dell’Emilia-Romagna. In questa regione le Op sono riuscite a raggiungere dimensioni e sviluppi importanti, come in pochi altri casi a livello nazionale, mentre solo qui c’è una strumentazione normativa che ha permesso la nascita di vere e proprie Organizzazioni interprofessionali. Ora, mentre è necessario monitorare attentamente come le norme stanno cambiando a livello nazionale su questo tema così centrale, nel nostro territorio non si può dormire sugli allori: le filiere hanno ancora molto da fare e da rivedere, ma la direzione è tracciata. Buona strada!
GABRIELE CANALI
Economia e Politica Agroalimentare,
Università Cattolica S. Cuore
Piacenza e Cremona
Fatti
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Focus
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Meccanizzazione
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