Aprile 2017 Anno 45, n. 4
Editoriale
Indicazioni geografiche, un modello sempre più globale
Il convegno che ha aperto Origo lo scorso 11 aprile a Parma ha rappresentato davvero una tappa importante del lungo percorso che sta portando i prodotti Dop e Igp a diventare uno dei modelli di sviluppo agroalimentare a livello globale.
Innanzitutto l’intervento di apertura di Phil Hogan, commissario Ue per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale, ha sottolineato l’importanza, ormai chiara a tutti anche a livello europeo, delle produzioni con indicazione geografica: circa 3.000 in totale, 1.750 vini e 1.250 prodotti agroalimentari. Ma non si tratta solo di numero di prodotti: essi rappresentano il 6% del fatturato food & drink in Europa, ma ben il 15% delle esportazioni. E la loro importanza va oltre il loro peso percentuale sul fatturato. Essi, infatti, sono la punta di diamante dell’agroalimentare europeo e contribuiscono in modo determinante a qualificare la nostra stessa identità a livello globale.
E lo sappiamo bene noi in Emilia-Romagna!
Non solo gran parte del nostro export è relativo ai prodotti di qualità, ma l’intera immagine delle nostre produzioni agroalimentari, sia in Italia sia negli altri Paesi, è strettamente legata ad esse. Senza contare i fortissimi legami tra agroalimentare e turismo, che nei prossimi mesi troveranno in Fico, il nuovo parco “dalla terra alla tavola” che aprirà a Bologna, un ulteriore strumento.
Ma se queste riflessioni non rappresentano certo una novità nel nostro territorio, la novità è costituita dalla rilevanza, ormai sempre più globale, che il modello europeo di tutela delle indicazioni geografiche sta assumendo. Per questa ragione alcuni interventi sono stati particolarmente importanti. A cominciare da quello di Catherine Teyssier, in rappresentanza della Fao, che ha ricordato come le Indicazioni geografiche siano ormai entrate a pieno titolo tra gli strumenti utilizzati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per promuovere un modello di sviluppo agroalimentare sostenibile in tante parti del mondo.
Ma è stato particolarmente interessante anche l’intervento di Elizabeth Barham, sociologa rurale dell’Università dell’Arkansas, che da anni segue il tema anche sul suolo americano. Se sono state tutte confermate le difficoltà che tali produzioni incontrano nell’establishment economico e politico statunitense, è anche vero che, oltre a diverse esperienze locali che si ispirano a questo modello, nell’importantissimo settore del vino Usa si sta ormai parlando apertamente di Indicazioni geografiche. Questo ha fatto affermare alla professoressa che alla domanda se il modello europeo delle Ig stia diventando globale si può rispondere in modo affermativo.
E in quest’ottica è stata importante anche la presenza di Jang Qi, rappresentante dell’Autorità cinese sulle Indicazioni geografiche, una vera “prima” mondiale, a conferma dell’importanza di questo approccio anche per il grande Paese asiatico nel quale, come in Europa, la cultura è assai strettamente collegata con i prodotti agroalimentari tradizionali.
La strada delle Indicazioni geografiche nell’agroalimentare globale è certamente ancora difficile e in salita. Ma una tappa importante nel percorso di globalizzazione di questo approccio, che lega territorio, cultura, prodotti alimentari e sostenibilità, è stata raggiunta.
Gabriele Canali, Economia e politica agroalimentare, Università cattolica S. Cuore Piacenza e Cremona
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