Raviggiolo
Territorio di produzione
L’area è limitata all’Appennino romagnolo tra la valle del Savio, del Tramazzo e le comunità montane dell'Alta Valmarecchia e Montefeltro.
Descrizione sintetica del prodotto
Prodotto ottenuto da latte vaccino portato alla trasformazione appena munto. E’ un formaggio a pasta bianca, tenera, dal sapore delicato, leggermente burroso.
Ha normalmente forma circolare e altezza variabile fra i 2 e 4 centimetri. Viene usualmente presentato su rametti di felce. Un tempo veniva prodotto con latte misto di capra.
Un po’ di storia
Nel 1515 il Magistrato Comunitativo della terra di Bibbiena portò in dono, a Papa Leone X, del raviggiolo in un canestro ricoperto di felci. L’Artusi, nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, inserisce il “cacio raviggiolo” quale ingrediente per i cappelletti all’uso di Romagna e per i tortelli.
Come si fa
Formaggio fresco ottenuto dalla semplice cagliatura del latte crudo. Il latte deve essere coagulato alla temperatura di mungitura previa aggiunta di caglio liquido di vitello. La cagliata avviene in contenitori igienicamente idonei. Dopo circa 60 minuti, quando la cagliata ha raggiunto la consistenza voluta, si procede alla raccolta della stessa, avendo cura di non romperla. Poi si sistema all’interno di una forma detta “cascina/canestro/casajola” che si è provveduto in precedenza a rivestire di foglie di felce Pteridium aquilinum (L.) Kuhn, raccolte in luoghi idonei, passate in acqua bollente e successivamente essiccate. Terminato il riempimento della forma e provveduto ad una salatura superficiale (oggi con il sale proveniente dalle saline di Cervia) la cagliata viene lasciata per circa 12 ore e in ambiente condizionato (+4 - 6 gradi) inclinata per il naturale drenaggio dell’acqua in eccesso.
Curiosità
Il Raviggiolo è diverso da ogni altro formaggio perché è a latte crudo ma va consumato al più tardi entro cinque giorni dalla caseificazione. La conservabilità è limitata a pochi giorni, per cui è un prodotto storicamente preparato nei mesi compresi tra ottobre e marzo, facendone un alimento tipico delle stagioni più fredde. Viene mangiato fresco con aggiunta di marmellate o miele.
Referenze bibliografiche
Pellegrino Artusi, “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.