Saba dell’Emilia-Romagna, sapa
Territorio di produzione
Comune a tutte le Province dell’Emilia-Romagna. Trattandosi di una preparazione tipica del mondo contadino dobbiamo considerare che ogni areale aveva le sue varianti dovute alla diversità dei prodotti di cui si disponeva per la preparazione.
Descrizione sintetica del prodotto
Sciroppo dolce ottenuto da lenta e prolungata bollitura del mosto, generalmente di uve bianche. Colore dall’ambrato al rosso, odore intenso di caramello, sapore mielato, sapido e vellutato.
Un po’ di storia
E’ tradizionalmente preparato nelle campagne dal secolo scorso fino alla fine degli anni Cinquanta.
Saba è il termine dialettale usato in Emilia-Romagna per indicare questo prodotto a base di mosto, anche conosciuto con il nome Sapa.
Nelle Georgicae è descritta in maniera accurata la tecnica enologica in uso nell’agro bolognese ai tempi di Columella, nella quale si parla, tra le altre cose, anche della Sapa, impiegata addirittura per nutrire le lumache, alla cui carne sembrava conferire un gusto più delicato.
Columella cita la Sapa nel De re rustica e Plinio offre una descrizione di questo mosto cotto nell’opera Naturalis Historia.
Plinio narra inoltre che quando l’imperatore Augusto pranzò a Bologna presso un ricco veterano di Antonio, gli vennero serviti opera pistoria (i nostri dolci) fatti con mosto cotto: la Sapa e il Savor, impiegati già allora per la preparazione di molti dolci.
Vincenzo Tanara, agronomo e gastronomo bolognese del XVII° secolo, ricorda la Sapa in uno dei suoi scritti risalente al 1644: L’economia del Cittadino in Villa. In tale opera Tanara, riferendosi alla Sapa, scrive: “Fassi servir l’uva per indolcire vivande in luogo di miele, senza spesa, mediante la sapa, o sabba; Non credo, che l’huomo possa desiderar più gusti di quello, che rende la vite; questa è mosto colato, e fatto bollire fino, che cali i due terzi”. A proposito del tempo necessario al suo ottenimento l’agronomo bolognese fornisce alcuni suggerimenti: “E’ meglio il peccare in troppo cuocerla, che in non lasciarla cuocere assai: Si conosce la sua perfettione col ponerne due goccie sopra una carta, se col far star pendente la carta, la goccia non si stacca, è cotta assai; se ancora intinte le due cime de’ diti, grosso, e indice, e quelli congionti insieme, quando è cotta, nello staccarli si sente viscosità, e fa quasi fila. Serve la Sapa alla cucina, e credenza in moltissime occasioni, come à suo luogo si dirà”.
Pellegrino Artusi, insigne gastronomo nato a Forlimpopoli nel 1820, nella sua celebre opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, pubblicata per la prima volta nel 1891, nomina il prodotto tra gli sciroppi usando le seguenti parole: “La Sapa, ch’altro non è se non uno siroppo d’uva, può servire in cucina a diversi usi poiché ha un gusto speciale che si addice in alcuni piatti. E’ poi sempre gradita ai bambini che nell’inverno, con essa e colla neve di fresco caduta, possono improvvisar dei sorbetti”.
Il suo utilizzo nel tempo è stato quello di conferire gusto e sapore a vivande e bevande. La ritroviamo, infatti, tra gli ingredienti utilizzati nella produzione del “Panone di Bologna” (versione più semplice e contadina del Certosino dato che al posto del miele si utilizzava la Saba e alla mostarda si sostituiva il “Savór”), dei Sabadoni, (“tortelloni” di grossa e allungata dimensione legati ad antiche consuetudini della gente romagnola), e appunto del Savór, una sorta di marmellata a base di Saba e frutta, prevalentemente mele cotogne e pere.
Come si fa
Le uve vengono pigiate e il mosto così ottenuto viene messo in recipienti di rame o acciaio al contatto col fuoco fino ad ottenere un’evaporazione di circa 2/3 del liquido.
Segue la decantazione e la conservazione in recipienti di vetro che può durare alcuni anni.
Curiosità
La preparazione della Saba risale addirittura ai tempi dei romani, come testimoniato dal cuoco romano Apicio. Addirittura Mosè, così sostengono alcuni interpretando la Bibbia, usava la Saba per curarsi.
Nel libro e film “La neve nel bicchiere” di Nerino Rossi viene descritto un momento magico, quello in cui si mescola la saba alla neve appena caduta, si forma un gelato, un alimento povero, come chi lo mangiava, ma straordinariamente buono.
Referenze bibliografiche
Vincenzo Tanara, “L’economia del Cittadino in Villa” , 1644;
Pellegrino Artusi, “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, 1891.