Ferruccio Zago ci sta pensando da tempo. Vuole parlare, in maniera approfondita, di ortaggi. Caratteristiche, proprietà ed usi: alla Scuola di pomologia ed orticoltura di Firenze, ove ha a lungo studiato, ha appreso davvero tanto. Ma di lavoro ce n’è ancora da fare, soprattutto sul versante della diffusione delle conoscenze. Quando è arrivato a Piacenza, nel 1897, fresco di nomina alla direzione della Cattedra ambulante di Piacenza, Ferruccio ha iniziato a girare in lungo e in largo per le campagne, gettando sempre un occhio anche agli orti, piccoli o grandi che fossero. Di anni ne sono passati, gli impegni si sono accresciuti, ma i giri su e giù per le strade di pianura e per i sentieri di montagna sono continuati. E oramai non c’è varietà vegetale che Zago non conosca. Così alla redazione de “L’Italia Agricola’” il direttore della Cattedra propone la rubrica “Buoni ortaggi”. I buoni ortaggi sono tanti, ma, tra questi, Zago ritiene che ci sia una “pianta ortense meritevole di essere maggiormente apprezzata”: il verzotto quarantino di Piacenza, prodotto della selezione e del miglioramento, attraverso un lungo periodo di tempo, di varietà anticamente coltivate.

Zago si mette a scartabellare tra trattati di orticoltura e cataloghi commerciali. Non c’è molto sul verzotto. Nell’Orticoltura di Luigi Trentin è riprodotta una figura presa da fotografia, ma senza descrizione. È invece elencata tra le “varietà raccomandabili” nei cataloghi dello stabilimento Ingegnoli di Milano. Zago si mette subito al lavoro e l’articolo esce su “L’Italia Agricola” del 15 aprile 1911.

Al felice tratto del pittore piacentino Nazzareno Sidoli è affidato il compito di illustrare su tavola la varietà, “dalle foglie bollose, grinzose e quasi increspate. Di colore verde intenso, disposte in larga rosetta, formano una palla meno dura di quella dei cappucci, ma abbastanza voluminosa, un po’ depressa e ben serrata”. Segue la presentazione: questa varietà può raggiungere il peso di 7-8 chili e il suo pregio, rimarca l’autore, è quello di crescere “sollecitamente, cosicché merita il nome di quarantina che le è stato imposto. È molto produttiva, di facile e lunga conservazione durante l’inverno e si presta per le coltivazioni estese in piena campagna”.

La semina si effettua in semenzaio nel mese di maggio, in terreno ben preparato e ben concimato. Le piantine sono pronte a luglio e, nel caso di estese colture, le piantagioni si fanno scalari allo scopo di ottenere il prodotto in diversi periodi. Solitamente la coltivazione si fa nel terreno che si è coltivato a frumento e che si prepara con adatta aratura, previa concimazione con letame da stalla. Favorite dal caldo, dalla freschezza del terreno e dai concimi, le verze crescono rapidamente e nel mese di ottobre sono pronte per la vendita e per il consumo (per ogni ettaro si possono raccogliere da 30 a 40 mila verze). Per questo prodotto, lungamente conservabile e resistente al freddo e alla umidità, diversi sono gli usi di conservazione. In particolare i coltivatori della zona “usano disporle a mucchi sui tetti delle case dalla parte volta a tramontana”. Gustose, di buon sapore dolciastro e delicato, si adoperano in cucina per diverse minestre e per contorno di pietanze. In anni di particolare abbondanza o quando i prezzi del mercato sono molto bassi, si adoperano anche per l’alimentazione del bestiame.

Al verzotto piacentino Zago dedicherà diversi articoli anche in anni successivi, documentando con foto le estese coltivazioni della campagna piacentina.

Il verzotto quarantino di Piacenza viene citato, oltre che nei cataloghi commerciali, anche nel volume Dove e come s'impianta un orto ossia istruzione per fare e coltivare un orto, edito dai fratelli Ingegnoli nel 1912. Si tratta di uno splendido volume che documenta l'importanza e la evoluzione dell'orticoltura in quegli anni cruciali.

La pubblicità dei fratelli Ingegnoli è spesso presente sulle pagine delle riviste della Federconsorzi. Tra Otto e Novecento, molti coltivatori emiliani e romagnoli iniziarono a servirsi dei prodotti dei fratelli Ingegnoli che, negli ultimi decenni del Novecento, avevano avviato a Milano un fiorente vivaio. Da Sesto Calende, sulle sponde del Ticino, la famiglia Ingegnoli, alla fine del Settecento, si era trasferita a Milano per avviare una nuova attività industriale e commerciale legata al settore agricolo. Nell’area, ora occupata dalla stazione centrale, gli Ingegnoli iniziarono a coltivare piante da frutto altamente selezionate, ma anche sementi da orto e per praterie, specializzandosi nella selezione genetica. Nel 1879 i giovanissimi fratelli Ingegnoli, Francesco, Vittorio e Paolo acquisirono lo stabilimento dei Burdin, una famiglia di origine piemontese che aveva impiantato prima a Torino e poi a Milano un ampio vivaio per la produzione di alberi da frutto, piante per la formazione di parchi e giardini e per la produzione del gelso delle Filippine, ampiamente utilizzato nella sericoltura dell’Italia settentrionale. Nel 1884 i tre fratelli fondarono la società commerciale in nome collettivo Fratelli Ingegnoli, destinata a diventare nel giro di pochi anni uno dei più prestigiosi stabilimenti agro-botanici europei. Il vivaio, trasferito in corso Loreto 45, divenne meta di appassionati, coltivatori e giardinieri, professionisti e dilettanti, che qui potevano trovare anche le nuove varietà botaniche ed orticole create in esclusiva grazie alla ricerca di esperti botanici. Le “composizioni” e i “miscugli” di sementi foraggere, adatte alle diverse caratteristiche dei terreni, ebbero molto successo. I vivai di alberi fruttiferi contenevano più di 190mila esemplari innestati e visitati da molti specialisti ed amatori. Fu in particolare Francesco, agronomo, ma anche brillante e moderno politico (fu anche sindaco di Lambrate, socialista, amico di Giuseppe Turati, col quale condivideva l’attenzione e il profondo rispetto per i lavoratori delle proprie imprese), a dedicarsi alla ricerca di nuove piante e varietà, organizzando viaggi botanici e commerciali in tutto il mondo.  Di particolare interesse sono i cataloghi di questa azienda che, nel periodo tra Otto e Novecento, arrivò a stamparne anche trecentomila. Il logo venne realizzato da Beppe (Giuseppe) Ingegnoli, figlio di Vittorio, anch’egli fine illustratore assieme alla sorella Maria. Entrambi, fino almeno agli anni Trenta, si occuparono personalmente della realizzazione delle immagini dei cataloghi. Le copertine di questi prodotti editoriali erano ben curate e riproducevano ambienti di paesaggi rurali e popolari, frutta e le novità da coltivare in orto e in giardino.

di Daniela Morsia - Referente Biblioteca comunale Passerini-Landi di Piacenza

Fonti: Giornale di agricoltura della Domenica, L'Italia Agricola (o Italia Agricola)

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