Innovazione in acquacoltura per alimentare il mondo
L’acquacoltura rigenerativa sarà la chiave per evitare che si verifichino carenze nelle forniture ittiche da qui al 2050
Riflessione a partire da un articolo sulla rivista online “The fish site”, 11 maggio 2023
Nuovi studi dimostrano che già ad oggi l’industria dell’acquacoltura non è in grado di soddisfare una domanda di prodotto ittico sempre crescente, in uno scenario futuro dove il divario tra offerta e domanda di alimenti dal mare oltrepasserà i 50 milioni di tonnellate di prodotto, a meno che non si pensi a diversificare la filiera tramite iniziative di acquacoltura rigenerativa.
Un nuovo rapporto del think tank Planet Tracker, organizzazione non-profit attiva nel settore finanziario, analizza gli scenari nel settore delle pratiche innovative in acquacoltura, ed afferma che anche nel migliore dei casi, al 2050 esisterà comunque un divario negativo tra offerta e domanda di prodotto ittico di almeno 50 milioni di tonnellate.
Questo significa che al settore è richiesto un cambiamento radicale
Il rapporto
Per acquacoltura rigenerativa si intende una filiera di produzione ittica multispecie che offre al contempo benefici all’ecosistema (servizi ecosistemici) come il filtraggio dell’acqua da parte dei molluschi bivalvi, come ostriche, vongole o cozze.
Il rapporto ha mostrato che mentre le soluzioni tecnologiche, come stabilimenti di produzione di acquacoltura, offshore o in terraferma, ed esperimenti di nursery in laboratorio, possono contribuire a ridurre il gap fornendo 5 milioni di tonnellate di prodotto ittico, una scelta più radicale – che comprenda quindi esperienze di acquacoltura rigenerativa – può fornire almeno altri 45 milioni di tonnellate di cibo, in grado quindi di colmare il divario.
Tuttavia, il rapporto, dal titolo Avoiding Aquafailure: aquaculture diversification and regeneration are needed to feed the world rivela anche che servono almeno 55 miliardi di dollari di investimenti per far partire questa transizione, e questo, molti operatori dell’acquacoltura non possono permetterselo.
Il rapporto inoltre indica che un approccio tradizionale, con monoculture di specie ittiche, è destinato ad aumentare molti dei rischi di distruzione della biodiversità, con impatti che vanno dall’inquinamento, all’eutrofizzazione, a spostamenti non voluti di specie endemiche. Tutto questo, oltre che un danno all’ambiente, risulta anche una perdita per l’industria. Ricerche recenti parlano di una industria dell’acquacoltura sempre più concentrata in poco territorio, con i primi dieci Paesi produttori ittici che dominano la produzione globale con l’89% del totale, ed oltre il 75% delle compagnie attive nella produzione di sempre meno specie ittiche (salmone, gamberetti o pangasio).
Per dirla con le parole di François Mosnier (Planet Tracker): “Mentre per le produzioni in terraferma la conversione dell’habitat naturale in monoculture è ampiamente riconosciuta come causa primaria di perdita di biodiversità, questo è meno riconosciuto quando si parla di meccanismi analoghi impattanti sulle risorse marine, come succede invece in acquacoltura.